L'ultimo respiro..
Sono passati quasi tre anni dal mio ultimo respiro..
quell'ultimo respiro fatto sott'acqua..
nella mia ultima immersione in cui
un incidente ha cambiato la mia vita.
Un’embolia midollare localizzata nel tratto della colonna T7-T10, bassa, per fortuna mi verrebbe da dire, ma che ha diviso a metà il mio corpo, con testa, braccia forti e sane e gambe che ormai non reggono il mio peso, i miei sforzi, la mia vita di corsa e sempre in anticipo.
Non reggono più quei movimenti che per tutti noi sono i primi che impariamo già prima della nascita, quando scalciamo dentro il grembo di nostra madre, che usiamo come difesa quando qualcuno ci infastidisce, che ci fanno vedere il mondo non più a due ma a tre dimensioni quando ci alziamo su di esse per l'inizio del nostro cammino.
È capii allora, dopo quell'ultimo respiro, subito dopo, che a cambiare non sarebbe stato solo il mio corpo ma anche la mia testa, forse anche la mia anima.
Fu come la fine di un grande amore, durato trenta, brevissimi, anni. Migliaia di giorni trascorsi fra la pioggia a dirotto, il sole al tramonto, il freddo di letti improvvisati e lontani da casa e il caldo delle lamiere infuocate sul ponte delle navi.
Mille e mille immersioni, in acque tranquille o scure da far paura. Sempre pronto al salto, all’ingresso in acqua e giù nel blu, per dare un senso anche a quel giorno, come quell'ultimo giorno. Quell'ultimo respiro nel blu.
Le mie gambe mi abbandonarono sul ponte della piccola pilotina di supporto, caddi a terra incredulo, ma consapevole di quello che mi era successo. Immaginate di tagliare le ali leggere ad una farfalla, le pinne possenti ad uno squalo, le zampe potenti ad una tigre: così le mie gambe, quelle di un sommozzatore, erano perse, forse, per sempre.
La ripresa..
10 mesi di ricovero in ospedale passarono in fretta, velocissimi, forse troppo e grazie ai miei angeli fisioterapisti la ripresa fu rapida: dopo 4 mesi mi alzai per la prima volta dalla carrozzina per muovere i primi, scoordinati, ma bellissimi passi.
Marisa, Lea, Katia, Eleonora e Manuela trasformarono quei piccoli passi incerti e dolorosi, in quasi stabili passi con le stampelle.
Per Serena, l'esperta fisioterapista in piscina, fui come una delle 12 fatiche d'Ercole. Nonostante le sue braccia fossero come delle onde che muovevano e trascinavano il mio corpo sulla superficie dell'acqua nel tentativo di rilassare muscoli e mente, io mi irrigidivo sempre più come se quell'acqua in qualsiasi momento avrebbe potuto tradirmi di nuovo, trasformarsi in tempesta e risucchiarmi sul fondo.. o in fuoco e bruciare le mie speranze di riuscire ancora a camminare.
Il ritorno a casa
Uscii dall'ospedale con una carrozzina ed un paio di stampelle in dotazione.
La prima cosa che feci a casa fu di sbarazzarmi della mia attrezzatura subacquea. Regalai mute ed erogatori, pinne e calzari. Buttai i coltelli ormai arrugginiti, era tutto finito. Il lavoro, lo sport, la mia passione. Tutto scomparve dalla mia vita come molti, troppi, amici e colleghi che non ho più sentito da allora come fossi un appestato, uno da tenere lontano o semplicemente uno che non serviva più.
In quasi tre anni, non un giorno di sole, di mare o un bagno nei giorni afosi delle estati passate. L'amore era finito, mi ritenevo tradito come dalla mia più amata donna che non mi aveva spezzato il cuore, ma il mio corpo.
Qualcosa, un giorno, cambiò..
Un giorno lessi per caso la locandina che promuoveva l'
evento DDI a Catania, un No Barrier Tour e neanche tutta, come ormai facevo con ogni notizia che riguardava il mare, sfogliai le pagine del social in avanti, una, due, tre.. Cosa successe non so.. ritornai indietro e mi fermai a rileggere la locandina. Inviai quasi in automatico la richiesta di informazioni, senza pensarci.. come avrei fatto tre anni fa.
Capii solo dopo e mi resi conto che
qualcosa era cambiato.
Incredulità e grande voglia di ricominciare..
Mi ritrovai a Catania, quasi catapultato in quell'aula, in attesa dei docenti del corso
Luca,
presidente di DDI Italy,
Alberto, istruttore DDI e
Luigi del
centro SEI Spazio Mare di Catania, che fu proprio l'elastico di quella catapulta.
Fremevo durante la teoria, interessantissima e piena di spunti di attenzione; fremevo perché era la prova in acqua che aspettavo, era il bisogno di indossare di nuovo il gav, sentire il peso della bombola, mettere in bocca l'erogatore.
Alla prova non mancava molto e fu di nuovo amore.
L'erogatore, mai lavato in 3 anni aveva ancora il sapore dell'acqua salata in contrasto con il dolce dell'acqua della piscina.
Quando Luca mi invitò a fare un giro in piscina, chiusi gli occhi, scesi giù e
quel respiro, il mio respiro che cominciai a risentire nelle mie orecchie riempì la piscina, entrò dentro di me e raggiunse il cuore. Ero di nuovo in acqua, respiravo ancora da un erogatore, ma soprattutto le mie gambe non avevano dimenticato come si pinneggiava. Un giro di piscina lungo tre anni.